Leggere le motivazioni delle sentenze e dei loro appigli giuridici è talvolta, per chi di mestiere non fa né il giudice né l'avvocato, un esercizio complesso. Non tanto per una questione di linguaggio tecnico, che è pur presente, ma per l'accettazione di ragioni che agli occhi di un profano sono indigeribili. Qualche giorno fa sono state, per esempio, rese note le motivazioni della commutazione dalla pena dell'ergastolo a quella di 30 anni per l'assassino di Carol Maltesi, Davide Fontana. Secondo il Tribunale di Busto Arsizio, giusto per citare solo qualche passaggio del corposo documento, l'omicida si sarebbe "reso conto che la giovane e disinibita Carol si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato, e ciò ha scatenato l’azione omicida. A spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte». Questo movente, per i giudici, «non può essere considerato abietto o futile in senso tecnico-giuridico». Non è semplice, è evidente, venire a patti con considerazioni di questo tipo, ma appunto, si tratta di tecnicismi.

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Ecco, non parleremo qui di fatti di cronaca nera sfociati in gesti estremi, ma di altre due sentenze che vedevano dalla parte dell'accusa altre due donne, non credute e svilite da sentenze le cui motivazioni sono davvero scioccanti. Motivazioni redatte in entrambi i casi dalla giudice Maria Bonaventura, oggi accusata di ribaltare l'assetto dei processi e di mettere alla berline le vittime, femmine, invece dei loro presunti molestatori. Il primo fatto risale al 10 luglio, quando, a sorpresa, Bonaventura e soci, il collaboratore scolastico dell'Istituto Cine Tv Roberto Rossellini di Roma, accusato di molestie da una diciassettenne, non aveva commesso alcun gesto penalmente rilevante. Il classico "il fatto non costituisce reato". Eppure la ragazza aveva raccontato di aver sentito qualcuno che, nel mentre che lei stava salendo le scale della scuola, le infilava una mano nei pantaloni, sollevandola.

Il bidello 66enne si era giustificato con un "Lo sai che scherzavo", ma lei aveva scelto comunque di denunciare affidandosi alla giustizia. Per i giudici la "repentinità dell'azione, senza alcuna insistenza nel toccamento" non consentiva di "configurare l'intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale". Le modalità dell'azione, hanno aggiunto, "lasciano ampi margini di dubbio sulla volontarietà nella violazione della libertà sessuale della ragazza, considerato proprio la natura di sfioramento, per un tempo sicuramente minimo, posto che l'intera azione si concentra in una manciata di secondi, senza alcun indugio nel toccamento". La sentenza della "palpata breve", così rimarrà nella giurisprudenza. Così si è creato il precedente della necessità di cronometrare un palpeggiamento, affinché, superati i 10 secondi, esso possa essere considerato crimine.

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Bonaventura è tornata, e chissà forse il ruolo di villain le piace pure, al centro del dibattito per una nuova motivazione, redatta in seguito alla sentenza di assoluzione del dirigente di un museo accusato di molestare una sua dipendente. I testimoni non hanno confermato il racconto della presunta vittima, e fin qui ci siamo, ma la ragazza - secondo la sentenza - sarebbe anche stata “complessata”. "Alla luce di tutte le considerazioni - si legge - qui svolte non si può escludere che la parte lesa, probabilmente mossa dai complessi di natura psicologica sul proprio aspetto fisico (segnatamente il peso) abbia rivisitato inconsciamente l’atteggiamento dell’imputato nei suoi confronti fino al punto di ritenersi aggredita fisicamente".

Le presunte molestie - denunciate nel 2021 - sarebbero avvenute nel museo, anche nel magazzino, e in un dopo cena tra colleghi. Proprio i colleghi, secondo quanto riportato da diversi media nei giorni scorsi, avrebbero definito il dirigente un "giocherellone", e avrebbero ridimensionato l'accaduto. L’uomo, invece, ai giudici, avrebbe detto che la ragazza era sessualmente attratta da lui. Dunque il peso della ragazza, in un triplo carpiato che per altro finisce per atterrare in un terreno che è quello della psicologia (che forse in mancanza di una laurea, non è esattamente materia della giudice), sarebbe la causa di false accuse. Un parere del tutto personale, che messo nero su bianco in una sentenza, suona grottesco, offensivo, assurdo. E non la pensa così solo gran parte dell'opinione pubblica: i pm che hanno seguito il caso hanno anche già annunciato di aver depositato un ricorso contro quelle sentenze.

Ma Bonaventura non pare preoccupata, almeno da quanto ha detto a Il Corriere della sera. “A mio avviso i giudici devono esprimersi attraverso le proprie sentenze. Ho comunque in serbo una denuncia al Csm al quale inoltrerò una mia relazione dettagliata”, ha dichiarato. Ma non prima di aver affermato: “«Il mio ruolo mi conferisce autonomia e indipendenza ed è in ragione di questi principi che ho scritto la mia sentenza Ma tutto questo stupore da dove deriva? Non ho mai ‘esondato’ dalla mia sfera di competenza». Bonaventura ha declinato la domanda che riguarda il linguaggio utilizzato, apparentemente insensibile alle ragioni delle donne che, vittima di violenza sessuale, hanno trovato la spinta giusta per denunciare i propri aguzzini. Su questo Bonaventura si è chiusa nel più totale silenzio.

Ma la giudice Bonaventura, secondo l’associazione Bon’t Worry di Bo Guerreschi, sarebbe responsabile anche di una ritorsione nei confronti della giovane vittima del cosiddetto stupro di Capodanno, rea di aver rilasciato un’intervista a Repubblica e perciò ascoltata in un’aula ordinaria senza tutela. Certo, questa è una supposizione le cui prove devono essere presentate puntualmente perché si possa, nel caso, procedere con una pubblica accusa. Ma quel che è certo è che quelle lette in questi giorni sono sentenze scritte in cui le donne vengono ridotte quasi a imputate. "Siamo oltre il diritto - ha detto a La Repubblica Guerreschi - si sta riducendo a coriandoli il Codice Rosso. Poi non lamentiamoci quando le denunce diminuiscono". "Chiedo l’intervento del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Spero che a breve invii gli ispettori, questi verdetti lasciano senza parole e mi fanno pensare che lottiamo per qualcosa che la giustizia ci nega".

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